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giovedì 19 febbraio 2009, 18:10

Conti salati per il cibo

Conti salati per il cibo



Mangiare può essere un gesto ecologico. Comprare e consumare cibo significa fare delle scelte - consapevoli o meno - anche in termini ambientali. Innanzitutto, possiamo scegliere cosa mangiare. Frutta, verdura, cereali, formaggi, uova. E la carne? Per produrre un chilo di carne, oltre ad una quantità considerevole di energia, occorrono 15 kg di cereali e 50 mila litri d'acqua, a fronte dei 900 litri che occorrono per produrre un chilo di grano.

Avere una dieta con più verdure e meno carne significa dunque risparmiare acqua, cereali (che sarebbero quindi destinati al consumo umano e non a quello animale) ed energia. Possiamo inoltre scegliere di consumare frutta e verdura di stagione (magari biologica) e di ridurre così le emissioni di CO2 nell'ambiente dovute alle serre e/o al trasporto di primizie da paesi lontani.

Decidiamo quindi di consumare prodotti locali. Poi ci sono gli imballaggi: una mozzarella presa al banco e avvolta in un incarto e una mozzarella in una confezione di plastica rigida hanno un diverso impatto ambientale. Lo stesso vale per le monoporzioni, cioè i prodotti confezionati singolarmente. Inoltre, possiamo scegliere di fare i nostri acquisti utilizzando sacchetti di carta o di stoffa e non buste di plastica.

In Italia queste ultime sranno messe al bando dal primo gennaio 2010 e lasceranno il posto a materiali più ecologici, come il Mater-Bi, ricavato dal mais. Infine, possiamo decidere di non sprecare il cibo. Un milione e mezzo di tonnellate di prodotti alimentari ancora buoni da mangiare finisce ogni anno nella spazzatura.

Ogni italiano produce circa 27 kg di avanzi di cibo ancora consumabili che, tradotto, significa che ogni famiglia getta nella spazzatura circa 600 euro all'anno. Ma lo spreco maggiore di cibo avviene nella catena della grande distribuzione alimentare, che raggiunge un miliardo di euro l'anno. La prima organizzazione che ha cercato di fermare lo spreco è stato il Banco Alimentare, nato nel 1989, seguito poi dal Last minute market, progetto nato nel 1998 a Bologna come ricerca universitaria della Facoltà di Agraria.

Il Last minute market permette il recupero dei prodotti alimentari invenduti, ancora idonei per l'alimentazione, che vengono donati e trasformari in pasti per i poveri. Oggi è una rete che coinvolge 14 città e otto regioni italiane ed il progetto si sta esportando in Brasile e Argentina.

Tutta la catena alimentare riveste dunque un'estrema importanza per l'impatto ambientale: la produzione, il trasporto, il consumo e perfino i residui.


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